Pulsa, pulsa, pulsa. La musica mi batte in testa come un martello.
Mi porta fuori. Fuori da me. Fuori da adesso. Mi cancella i pensieri e
la coscienza.
Batte, batte, batte. Molto più veloce del mio cuore.
Con gli occhi chiusi in mezzo alla pista mi lascio trasportare, come
un’alga in fondo al mare trascinata dalle onde.
Sento gli odori degli altri ragazzi intorno a me - Sudore. Profumo.
Alcolici. Eccitazione - Anche loro trascinati nel loro mare interiore da
queste onde battenti.
Ognuno di noi solo nel suo piccolo mare pulsante.
Apro gli occhi. Cosa vado a pensare? Ma sono scema? Mi dovrei prendere
a pedate da sola.
Vado al bancone e ordino un’altra birra. E’ la quarta stasera.
Mi farà male? GLI farà male? Ma chissene.... Crepasse
subito, questo piccolo bastardo che si è installato a tradimento
dentro di me. Ma la paga, il piccolo stronzo. Fra tre giorni, martedì
prossimo, me ne libero di corsa.
E se tutto va bene, sabato sera, tra una settimana esatta, a quest’ora
sarò di nuovo qui a festeggiare la liberazione. Indipendence Day.
Mando giù un’altra sorsata. E improvvisamente un’ondata di nausea.
Cazzo, di nuovo! Il piccolo bastardo rompe proprio. Ho bisogno di una
boccata d’aria. Saluto gli altri ed esco. Non è neanche tanto tardi,
non sono nemmeno le due, ma a questo punto potrei anche tornarmene a casa.
Salgo in macchina e avvio il motore.
No, porca miseria. Prima mi faccio un giretto. Non ho voglia anche
stavolta di farmi il corridoio di casa in punta di piedi, per vedere mia
madre sbucare dalla sua camera, come un povero fantasma malconcio, a chiedermi
con quel fil di voce lamentoso: “Ma che ore sono? Ma dove sei stata? Guarda
come sei conciata... guarda che colore quei capelli...” E via di seguito.
La mia povera patetica mammina. Da quando papà ha una
storia con quell’altra, lei è si è ridotta in pappa. Con
quegli occhi sempre gonfi e un po’ lacrimosi, la tuta da ginnastica sformata
e macchiata perennemente addosso, i capelli scarmigliati... un essere pietoso.
Quasi non la sopporto.
Ma poi mi fa pena, e così resto e tiro avanti. Sennò
avrei piantato casa da un bel pezzo.
In fondo lo capisco, papà, anche se si comporta da vero stronzo.
Non che sia mai stato il prototipo del gentleman però... insomma,
almeno c’era.
Adesso dorme quasi sempre fuori, dall’altra. E quando rientra, guarda
mia madre come se fosse un vecchio cane rognoso. E ancora grazie che non
se ne va definitivamente, visto che è l’unico che porta a casa uno
stipendio. Forse un minimo di coscienza gli è rimasta, finora.
Io un lavoro non l’ho ancora trovato. Non che l’abbia cercato con grande
entusiasmo. Ma mi sa che dovrò darmi una smossa. Se papà
dovesse cambiare idea e andarsene davvero, qui sono cazzi...
Certo che con ‘stà fortuna che mi ritrovo, i miei potevano
scegliermi un altro nome. Proprio Gaia dovevano chiamarmi. Sai che gaiezza.
Sembra una presa per i fondelli.
E’ un po’ che sto girando a vuoto. Mi piace vagabondare da sola in
macchina a notte fonda, quando in giro c’é solo qualche altro sballato
come me, che se ne torna a dormire o gira ancora per cercare un posto
dove finire di bersi la notte.
Ho imboccato il lungo rettilineo per Candelo. Una strada diritta è
una benedizione quando uno è in questo stato. Forse ho anche calato
un paio di caramelle di troppo. In effetti mi sento un po’ strana.
Ma forse non è quello. Forse è la gravidanza. La Gra-vi-dan-za.
Che parola... Gravida, Grave, Greve, Pesante... E’ così. E’ un peso.
Per il corpo, per la mente. Per il futuro. Un peso da cui mi devo liberare
al più presto.
Io che mi consideravo tanto furba, mi sono fatta infinocchiare come
l’ultima delle ragazzine. Puah!
Ma comunque lo so perché ho preso questa strada, e non è
per via del rettilineo.
E’ quella che ho fatto con lui. E’ l’ultimo ricordo che ho con lui
vicino.
Forse anche quella sera mi ero calata qualcosetta di troppo. Sennò
non si spiega. Non sono una che si butta a capofitto in queste cose. E
se lo fa, vede di prendere delle precauzioni. Ma quella sera... Beh! Certo
che il tipo valeva la pena.
Nessuno l’aveva mai visto prima nel locale. Se ne stava al bancone a
scolarsi qualcosa, guardando il vuoto. Strepitoso. Capelli lunghi, neri,
legati sulla nuca, quel filo di barba perfettamente disegnato attorno alla
bocca. L’orecchino d’oro, piccolissimo, irregolare come una minuscola pepita.
E quegli occhi di un verde incredibile, incredibile...
Non guardava nessuno, e nessuna. Poi Sara mi propone la scommessa.
“Ci fai una birra che a me mi guarda, se mi ci metto?”
Ero sicura che l’avrei proprio pagata, quella birra. Sara era veramente
in tiro. Con un fisico come il suo, e con lo scampolo di nulla che indossava
quella sera, se il tipo non la guardava era cieco, o un santo, o un gay
all’ultimo stadio.
Così la seguo sulla pista, proprio di fronte al bar. Sara comincia
a muoversi in quel suo modo tutto speciale. Quello che fa venire gli occhi
lucidi ai ragazzi. Come se avessero la febbre.
Ma a lui no. Lui si volta appena, lancia uno sguardo sulla pista, poi
torna a fissare il nulla.
Dopo un po’ Sara è grondante di sudore, sfinita e incavolata.
Tanta fatica per niente.
“E’ un frocio!” mi urla in un orecchio prima di andarsene alla toelette.
Io decido di ballare ancora un po’. In fin dei conti io non ci avevo
dato tanto dentro. Non mi ero sfinita come lei per attirare lo sguardo
di quel tipo...
Quel tipo che adesso mi guardava. Guardava ME come Sara avrebbe
voluto che guardasse LEI. Anzi di più. Mi guardava come se morisse
di fame e io fossi un cheeseburger gigante con patatine.
Non mi molla con lo sguardo, tanto che comincio a sentirmi a disagio.
Lascio la pista, e vado a sedermi su un divanetto.
Un attimo dopo lui è davanti a me. Con quello sguardo incredibile,
e un sorriso dolcissimo ed esitante.
“Ti disturbo?” mi chiede.
Se disturba?? “No, no, siediti pure”
Gli tendo la mano: “Mi chiamo Gaia”
“Gaia... che bel nome. Sapevo che avresti avuto un bel nome. Io sono
Raphael”
Ha un leggero accento straniero, che non riesco a collocare esattamente.
Olandese? Tedesco? Bah, per me potrebbe anche venire da Marte.
“Vuoi bere qualcosa?” E’ anche gentile!
“Sì, grazie”
Senza chiedere altro si allontana verso il bar. Non posso crederci!!
Mentre Raphael torna quelle che sembrano due dosi extralarge di whisky,
anche Sara fa la sua rentrée dalle toilettes. Lo sguardo che mi
lancia quando mi vede sul divanetto con lui è strabiliato, nonchè
amichevole più o meno come uno schizzo di bile.
Il primo sorso é uno shock: quello che credo un corroborante
whisky mi invade la bocca con la dolcezza stucchevole del succo di mela.
Succo di mela A ME?
Ma lui mi sorride beato sorseggiando il suo nauseante beverone, per
cui faccio buon viso a cattivo gioco, e con un sorriso altrettanto goduto
mi costringo a berne ancora un po’ anch’io.
Ma da dove arriva questo? E’ un tipo fantastico, ma ha i gusti di uno
sfigato. Parliamo per un po’ di argomenti neutri. Mi chiede di me, della
mia vita, del mio lavoro (e quale?). Naturalmente sto un po’ sul vago.
La mia vita non è qualcosa che sono orgogliosa di raccontare in
giro. Lui, piuttosto...
Anche lui però è un pelino sfuggente. Dice di viaggiare
molto per il suo lavoro. Rappresentante? No, piuttosto uno che “tiene contatti
tra le parti” (quali parti?) un “coordinatore” (ma di cosa???). Però,
in fondo, a me che mi frega? E’ un figo leggendario, e sta proprio con
me, mi guarda come se fossi la più top delle top model.
Penso rapidamente ai miei capelli extralisci, tagliati di netto alla
mascella, con la riga in mezzo, del tono più innaturale di arancione
che sono riuscita a ottenere, ai miei occhi grigi circondati da un centimetro
di kajal nero, che a pensarci bene mi dà un po’ l’aria del panda,
al mio fisico non propriamente esplosivo. Ma a quanto pare gli piaccio
lo stesso. Uau!
Mi dice che non ha l’automobile, che sta in un hotel del centro. Gli
darei uno strappo alla fine della serata? Ma certo, ci mancherebbe!
Anzi, mi chiede, non sarebbe bello farci un giretto subito, e uscire
da quel posto rumoroso e fumoso?
Fumo e rumore in discoteca sono regolari, e non mi hanno mai dato fastidio.
Ma improvvisamente non li sopporto più. Esco con lui senza neanche
salutare gli altri. E’ come se non fossi più nella mia testa.
Raphael mi chiede le chiavi della macchina. E io gliele dò!
Senza pensarci su nemmeno un momento...
Si mette alla guida e per un po’ gironzola senza una meta apparente
per le strade semideserte. Poi prende deciso la via per Candelo. Arriva
in paese, parcheggia in piazza. Scendiamo, mi prende per mano e quasi mi
trascina entro le mura del Ricetto.
Io non ci venivo da quando ero una bambina. Ricordo vagamente una gita
domenicale con i miei, quando ancora la vita pareva bella, normale, serena.
Come se fossi ancora una bambina, Raphael mi conduce per mano dritto
giù per la prima rua di sinistra, e sembra sapere benissimo dove
andare...
“Sei già stato qui?” gli chiedo dubbiosa
“Sì... molto tempo fa...” E non aggiunge altro. Arriviamo in
fondo, di fronte al muro di cinta, e lui deciso svolta ancora a sinistra.
Raggiungiamo quel rettangolo d’erba chiuso nell’angolo a nord-ovest.
Come varchiamo lo stretto passaggio che vi conduce, resto per un momento
impietrita dalla meraviglia. Migliaia e migliaia di lucciole volteggiano
nell’aria, vagano nell’erba bassa e soffice, si posano scintillanti ai
muri di pietra, facendoli sembrare vivi e palpitanti.
Non ho mai visto niente del genere prima d’ora. Ormai le lucciole sono
tanto rare! E’ difficile vederne più di due o tre insieme.
Mi volto sorpresa verso Raphael, e lui mi sorride.
“Credo che sia un piccolo spettacolo organizzato in nostro onore”.
Sento che sto per raggiungere un livello in cui più nulla mi
può stupire. In un angolo della mente un residuo della mia vocina
cinica mi sussurra che stavolta le caramelle dovevano essere particolarmente
energiche. Non me ne frega niente.
Raphael si siede sull’erba, in mezzo a tutto quel luccicare, e
mi tira giù vicino a lui.
Mi circonda le spalle con un braccio, mi accarezza le guance.
“Sì, sei proprio tu quella che cercavo...Non volevo crederci,
ma è così...”
Mentre mi bacia gli soffio sulle labbra: “A... chi... non volevi...
credere?”
Lui non risponde, ma non ha importanza, finchè continua a baciarmi
in questo modo.
“Questo è un luogo antico. Ha molto potere... Lo senti, il potere?”
mi bisbiglia in un orecchio. Potere? Io sento ben altro... Ho il cuore
in gola, il fiato corto, non ho più forze, precipito...
Improvvisamente lui si alza, mi tende la mano e mi tira su in piedi
accanto a lui. Mi abbraccia teneramente, poi mi guida lungo gli stretti
vicoli fino ad un antico portone di legno borchiato. Lo apre ed entriamo.
Stupita mi ritrovo in un piccolo cortile interno, raccolto come un minuscolo
chiostro. Non sapevo che esistessero cortili nel ricetto. Avevo sentito
parlare solo di cantine e piccole case a due piani… ma che importano i
dettagli architettonici, ora?
Lui mi bisbiglia “Vieni…” e io lo seguo come imbambolata su per una
scala antica. Davanti a noi si apre un breve corridoio, con un’altra porta
in fondo. La oltrepassiamo, e mi ritrovo stupita in una stanza antica e
lussuosa. Il letto a baldacchino, i cupi mobili scolpiti, gli arazzi dai
colori così sgargianti da parere appena confezionati mi fanno
venire in mente il set cinematografico di un film medievale. Dolcemente
lui mi attira accanto a sé sul letto rivestito di un raso rosso
cupo, e ancora mi bacia, e mi bacia…
Poi tutto accade. E mi sento così bene... Lui mi fa sentire
così bene, così bella, così speciale... C’é
una specie di... ecco, di RISPETTO, nei suoi gesti, che non avevo mai provato,
con nessuno.
Non mi sfiora neppure il pensiero che non abbiamo preso la minima precauzione,
che in fondo non lo conosco affatto, che....
Gli arazzi intorno a noi sembrano vivi e luminosi. Tutto il mondo palpita
di luce.
Dopo, lui mi aiuta a rialzarmi, a rimettermi in ordine, mi pettina
alla meglio i capelli scarmigliati con le dita, mi bacia sulla punta del
naso. Ridendo e chiacchierando sottovoce usciamo dal Ricetto, e saliamo
in macchina. Stavolta guido io. Non so esattamente cosa sia la felicità,
ma credo di non esserci mai andata più vicino di così.
Guido lentamente, mentre ci avviciniamo all’hotel che mi indica. Mi
bacia teneramente, e restiamo d’accordo per vederci l’indomani mattina.
Prima di sparire oltre la soglia, si volta e mi saluta ancora con la mano.
Non l’ho più rivisto. Di lui non è rimasta la minima
traccia. Nemmeno nei registri dell’hotel, come mi ha sibilato l’altezzosa
impiegata della reception, guardandomi con un misto di compatimento e di
vago disgusto mentre mi sforzavo di non scoppiare a piangere lì
sui due piedi, la mattina dopo.
Inutilmente ho cercato di ritrovare la casa dove Raphael mi aveva portata
all’interno del Ricetto. Naturalmente anche quella è scomparsa .
Anzi, anche quella risulta non essere mai esistita… Non ci sono case con
cortili interni, nel Ricetto.
E così eccomi qui, a rifare come in un pellegrinaggio la stessa
strada di quella sera. A parcheggiare nello stesso punto. Ad entrare nel
Ricetto e barcollare sui tacchi alti tra i ciottoli delle rue per arrivare
fino a quell’angolo là in fondo... No, niente lucciole stanotte.
Nemmeno una.
Soltanto la luna, bianca e lontana, rischiara questo angolo appartato,
circondato dalle mura.
Mi siedo sull’erba dove ci eravamo seduti vicini, prima che lui...
Qualcosa di caldo e bagnato mi scende sulla faccia. Lacrime? Ma sì,
posso anche sfogarmi, tanto qui non c’è nessuno che possa guardarmi
con compatimento, e pensare che sono una povera scema fallita, inutile,
e pure incinta...
Mi butto giù sull’erba, e lascio che il pianto scenda dal cervello
e si riversi in singulti acidi e rumorosi nella mia gola.
“Non piangere...” Una voce gentile e una carezza sui capelli mi fanno
balzare di nuovo seduta.
Chinata davanti a me c’è una ragazza. Avrà circa la mia
età, ed è bella venti volte me. Anzi cento. Così bella
che se fossi un ragazzo me ne innamorerei immediatamente.
E’ perfetta. I suoi capelli hanno un colore strano quanto il mio, solo
che lei con quella cascata di fiammeggianti capelli rosso fuoco sembra
esserci nata. Il suo parrucchiere deve essere un mito. Curiosamente, essendo
notte, riesco anche a percepire benissimo il colore dei suoi occhi, un
verde foglia inusuale, ma su di lei sembra anche quello così naturale,
sotto le sopracciglia nette e molto arcuate. La sua pelle è pallida
e perfetta, anche se pare totalmente priva di trucco. Sembra... luminosa,
ecco.
La fisso imbambolata per un lungo istante, senza riuscire a far altro
che asciugarmi gli occhi con il dorso della mano, e tirare su col naso.
Lei si siede vicino a me e senza parlare mi porge un fazzoletto pulito.
Non mi guarda mentre mi asciugo gli occhi e mi soffio il naso, ma
fissa in alto la luna piena.
Chi è? Una pazza? Un’altra “fatta” in trasferta? Un’assistente
sociale che fa gli straordinari?
Stranamente non mi sento a disagio con lei, e non mi importa nemmeno
che mi abbia visto in lacrime, a strisciare per terra come un verme.
Una strana calma si impossessa di me. La presenza di questa bizzarra
ragazza è così rassicurante che assurdamente avrei voglia
di raccontarle tutto di me. Della mia famiglia incasinata, della mia vita
senza scopo, del breve incontro con Raphael, della rabbia e del dolore
per la sua sparizione, e delle conseguenze che mi porto addosso.
Ma non oso spezzare il silenzio. La notte è calma e serena,
l’unico rumore è il frinire dei grilli. Seduta sull’erba, mi abbraccio
le ginocchia, e guardo anch’io la luna, lasciandomi riempire da questa
calma argentata.
Quando lei comincia a parlare, è soltanto un bisbiglio, flebile
al punto che a fatica distinguo le prime parole.
“A volte ci si sente così soli e inutili su questa terra, e
la vita pare così assurda, e senza un senso, che si vorrebbe quasi
non essere mai nati, vero?”
E’ esattamente quello che penso da quando ho la facoltà di ragionare.
Mi volto stupefatta verso di lei. E’ come se mi avesse letto nel pensiero.
Ma lei, senza smettere di fissare la luna, continua a parlare, quasi stesse
pensando tra sè e sè ad alta voce.
“Ma non è così. Nessuno è qui per caso. Ogni vita
ha un suo scopo. Anche quella dell’essere umano più ignobile. Anche
quella del più piccolo animale”
Dicendo questo, fa un lieve movimento nell’aria con la mano, e come
apparse dal nulla, un gruppo di una decina di lucciole improvvisa una breve
danza davanti ai nostri occhi, per poi sparire oltre le mura, rapido come
era comparso.
Mi sento come una bambina davanti ad uno spettacolo di magia, piena
di stupore e di aspettativa per il prossimo numero.
“Tutto ha un senso e uno scopo. Anche se non ce ne si può rendere
conto da qui. Si ha una visione troppo ristretta, e la mente degli uomini
è troppo limitata per riuscire a cogliere tutta la grandezza del
disegno. E’ come pretendere che una formica che cammina sul pavimento di
una grande cattedrale colga lo schema architettonico e lo scopo di tutto
l’edificio. Non potrà mai, così come nemmeno il più
grande o intelligente degli uomini potrà mai andare più in
là di tanto con lo sguardo e con la mente, per quanto si sforzi.”
Nessuno mi aveva mai parlato così, né avevo mai voluto
approfondire questo tipo di argomenti, perchè anche il solo pensarci
mi aveva sempre fatto paura.
Ma ora non ho paura, e mi bevo ogni parola. La sua voce è
come una lunga carezza che mi calma e mi rassicura. Dolcemente, mi
circonda le spalle con un braccio. Come una vecchia amica, come la sorella
che non ho mai avuto.
“E se anche l’esistenza di una piccola lucciola ha una funzione, se
ne ha persino quella dell’essere umano più stupido e malvagio, a
maggior ragione ha uno scopo, e uno scopo grande, l’esistenza di tutti
coloro che pensano, amano, soffrono e cercano delle risposte. Quelli come
te.
Tu sei molto importante, anche se non te ne rendi conto. Non vedi il
disegno nel suo insieme, non vedi la cattedrale. Ma tu sei una piccola
formica molto importante.” conclude con un sorriso.
Chissà perchè le credo. La mia vocina cinica è
totalmente ammutolita.
Finalmente oso profferire parola.
“Ma io non ho mai fatto niente di buono. Niente di importante. E non
sono nemmeno una persona buona... Anni fa. mi hanno detto che seguivo la
via del peccato, che quasi tutto ciò che facevo era male... e così
in chiesa non ci sono nemmeno più andata ”
“Bene, Male.... Peccato... Salvezza o Perdizione...Vedi, anche
questi sono concetti molto limitati. Non tutto ciò che pare bene
è bene in ogni circostanza. Non tutto ciò che a prima vista
sembra malvagio lo è davvero. Te l’ho detto: la visione umana è
molto limitata. A volte si giunge al bene perseguendo ciò che ad
una visione superficiale può essere giudicato un male, e viceversa.
Ma ogni essere umano sa benissimo, in ogni momento, se sta agendo bene
o male. |