Il canto del Bardo
Racconti

 
Raphael
Pulsa, pulsa, pulsa. La musica mi batte in testa come un martello. Mi porta fuori. Fuori da me. Fuori da adesso. Mi cancella i pensieri e la coscienza. 
Batte, batte, batte. Molto più veloce del mio cuore. 
Con gli occhi chiusi in mezzo alla pista mi lascio trasportare, come un’alga in fondo al mare trascinata dalle onde. 
Sento gli odori degli altri ragazzi intorno a me - Sudore. Profumo. Alcolici. Eccitazione - Anche loro trascinati nel loro mare interiore da queste onde battenti. 
Ognuno di noi solo nel suo piccolo mare pulsante.
Apro gli occhi. Cosa vado a pensare? Ma sono scema? Mi dovrei prendere a pedate da sola. 
Vado al bancone e ordino un’altra birra. E’ la quarta stasera. 
Mi farà male? GLI farà male? Ma chissene.... Crepasse subito, questo piccolo bastardo che si è installato a tradimento dentro di me. Ma la paga, il piccolo stronzo. Fra tre giorni, martedì prossimo, me ne libero di corsa. 
E se tutto va bene, sabato sera, tra una settimana esatta, a quest’ora sarò di nuovo qui a festeggiare la liberazione. Indipendence Day. Mando giù un’altra sorsata. E improvvisamente un’ondata di nausea.
Cazzo, di nuovo! Il piccolo bastardo rompe proprio. Ho bisogno di una boccata d’aria. Saluto gli altri ed esco. Non è neanche tanto tardi, non sono nemmeno le due, ma a questo punto potrei anche tornarmene a casa.
Salgo in macchina e avvio il motore. 
No, porca miseria. Prima mi faccio un giretto. Non ho voglia anche stavolta di farmi il corridoio di casa in punta di piedi, per vedere mia madre sbucare dalla sua camera, come un povero fantasma malconcio, a chiedermi con quel fil di voce lamentoso: “Ma che ore sono? Ma dove sei stata? Guarda come sei conciata... guarda che colore quei capelli...” E via di seguito. 
La mia povera patetica mammina. Da quando  papà ha una storia con quell’altra, lei è si è ridotta in pappa. Con quegli occhi sempre gonfi e un po’ lacrimosi, la tuta da ginnastica sformata e macchiata perennemente addosso, i capelli scarmigliati... un essere pietoso. Quasi non la sopporto. 
Ma poi mi fa pena, e così resto e tiro avanti. Sennò avrei piantato casa da un bel pezzo. 
In fondo lo capisco, papà, anche se si comporta da vero stronzo. Non che sia mai stato il prototipo del gentleman però... insomma, almeno c’era. 
Adesso dorme quasi sempre fuori, dall’altra. E quando rientra, guarda mia madre come se fosse un vecchio cane rognoso. E ancora grazie che non se ne va definitivamente, visto che è l’unico che porta a casa uno stipendio. Forse un minimo di coscienza gli è rimasta, finora.
Io un lavoro non l’ho ancora trovato. Non che l’abbia cercato con grande entusiasmo. Ma mi sa che dovrò darmi una smossa. Se papà dovesse cambiare idea e andarsene davvero, qui sono cazzi...
Certo che con ‘stà fortuna che  mi ritrovo, i miei potevano scegliermi un altro nome. Proprio Gaia dovevano chiamarmi. Sai che gaiezza. Sembra una presa per i fondelli.
E’ un po’ che sto girando a vuoto. Mi piace vagabondare da sola in macchina a notte fonda, quando in giro c’é solo qualche altro sballato come  me, che se ne torna a dormire o gira ancora per cercare un posto dove finire di bersi la notte.
Ho imboccato il lungo rettilineo per Candelo. Una strada diritta è una benedizione quando uno è in questo stato. Forse ho anche calato un paio di caramelle di troppo. In effetti mi sento un po’ strana. 
Ma forse non è quello. Forse è la gravidanza. La Gra-vi-dan-za. Che parola... Gravida, Grave, Greve, Pesante... E’ così. E’ un peso. 
Per il corpo, per la mente. Per il futuro. Un peso da cui mi devo liberare al più presto.
Io che mi consideravo tanto furba, mi sono fatta infinocchiare come l’ultima delle ragazzine. Puah!
Ma comunque lo so perché ho preso questa strada, e non è per via del rettilineo. 
E’ quella che ho fatto con lui. E’ l’ultimo ricordo che ho con lui vicino.
Forse anche quella sera mi ero calata qualcosetta di troppo. Sennò non si spiega. Non sono una che si butta a capofitto in queste cose. E se lo fa, vede di prendere delle precauzioni. Ma quella sera... Beh! Certo che il tipo valeva la pena.

Nessuno l’aveva mai visto prima nel locale. Se ne stava al bancone a scolarsi qualcosa, guardando il vuoto. Strepitoso. Capelli lunghi, neri, legati sulla nuca, quel filo di barba perfettamente disegnato attorno alla bocca. L’orecchino d’oro, piccolissimo, irregolare come una minuscola pepita. E quegli occhi di un verde incredibile, incredibile...
Non guardava nessuno, e nessuna. Poi Sara mi propone la scommessa. 
“Ci fai una birra che a me mi guarda, se mi ci metto?” 
Ero sicura che l’avrei proprio pagata, quella birra. Sara era veramente in tiro. Con un fisico come il suo, e con lo scampolo di nulla che indossava quella sera, se il tipo non la guardava era cieco, o un santo, o un gay all’ultimo stadio.
Così la seguo sulla pista, proprio di fronte al bar. Sara comincia a muoversi in quel suo modo tutto speciale. Quello che fa venire gli occhi lucidi ai ragazzi. Come se avessero la febbre.
Ma a lui no. Lui si volta appena, lancia uno sguardo sulla pista, poi torna a fissare il nulla. 
Dopo un po’ Sara è grondante di sudore, sfinita e incavolata. Tanta fatica per niente. 
“E’ un frocio!” mi urla in un orecchio prima di andarsene alla toelette.
Io decido di ballare ancora un po’. In fin dei conti io non ci avevo dato tanto dentro. Non mi ero sfinita come lei per attirare lo sguardo di quel tipo... 
Quel tipo che adesso mi guardava. Guardava  ME come Sara avrebbe voluto che guardasse LEI. Anzi di più. Mi guardava come se morisse di fame e io fossi un cheeseburger gigante con patatine.
Non mi molla con lo sguardo, tanto che comincio a sentirmi a disagio. Lascio la pista, e vado a sedermi su un divanetto.
Un attimo dopo lui è davanti a me. Con quello sguardo incredibile, e un sorriso dolcissimo ed esitante. 
“Ti disturbo?” mi chiede. 
Se disturba?? “No, no, siediti pure” 
Gli tendo la mano: “Mi chiamo Gaia” 
“Gaia... che bel nome. Sapevo che avresti avuto un bel nome. Io sono Raphael” 
Ha un leggero accento straniero, che non riesco a collocare esattamente. Olandese? Tedesco? Bah, per me potrebbe anche venire da Marte.
“Vuoi bere qualcosa?” E’ anche gentile! 
“Sì, grazie” 
Senza chiedere altro si allontana verso il bar. Non posso crederci!! Mentre Raphael torna quelle che sembrano due dosi extralarge di whisky, anche Sara fa la sua rentrée dalle toilettes. Lo sguardo che mi lancia quando mi vede sul divanetto con lui è strabiliato, nonchè amichevole più o meno come uno schizzo di bile.
Il primo sorso é uno shock: quello che credo un corroborante whisky mi invade la bocca con la dolcezza stucchevole del succo di mela. Succo di mela A ME? 
Ma lui mi sorride beato sorseggiando il suo nauseante beverone, per cui faccio buon viso a cattivo gioco, e con un sorriso altrettanto goduto mi costringo a berne ancora un po’ anch’io. 
Ma da dove arriva questo? E’ un tipo fantastico, ma ha i gusti di uno sfigato. Parliamo per un po’ di argomenti neutri. Mi chiede di me, della mia vita, del mio lavoro (e quale?). Naturalmente sto un po’ sul vago. La mia vita non è qualcosa che sono orgogliosa di raccontare in giro. Lui, piuttosto... 
Anche lui però è un pelino sfuggente. Dice di viaggiare molto per il suo lavoro. Rappresentante? No, piuttosto uno che “tiene contatti tra le parti” (quali parti?) un “coordinatore” (ma di cosa???). Però, in fondo, a me che mi frega? E’ un figo leggendario, e sta proprio con me, mi guarda come se fossi la più top delle top model. 
Penso rapidamente ai miei capelli extralisci, tagliati di netto alla mascella, con la riga in mezzo, del tono più innaturale di arancione che sono riuscita a ottenere, ai miei occhi grigi circondati da un centimetro di kajal nero, che a pensarci bene mi dà un po’ l’aria del panda, al mio fisico non propriamente esplosivo. Ma a quanto pare gli piaccio lo stesso. Uau!
Mi dice che non ha l’automobile, che sta in un hotel del centro. Gli darei uno strappo alla fine della serata? Ma certo, ci mancherebbe!
Anzi, mi chiede, non sarebbe bello farci un giretto subito, e uscire da quel posto rumoroso e fumoso?
Fumo e rumore in discoteca sono regolari, e non mi hanno mai dato fastidio. Ma improvvisamente non li sopporto più. Esco con lui senza neanche salutare gli altri. E’ come se non fossi più nella mia testa.
Raphael mi chiede le chiavi della macchina. E io gliele dò! Senza pensarci su nemmeno un momento...
Si mette alla guida e per un po’ gironzola senza una meta apparente per le strade semideserte. Poi prende deciso la via per Candelo. Arriva in paese, parcheggia in piazza. Scendiamo, mi prende per mano e quasi mi trascina entro le mura del Ricetto. 
Io non ci venivo da quando ero una bambina. Ricordo vagamente una gita domenicale con i miei, quando ancora la vita pareva bella, normale, serena.
Come se fossi ancora una bambina, Raphael mi conduce per mano dritto giù per la prima rua di sinistra, e sembra sapere benissimo dove andare... 
“Sei già stato qui?” gli chiedo dubbiosa 
“Sì... molto tempo fa...” E non aggiunge altro. Arriviamo in fondo,  di fronte al muro di cinta, e lui deciso svolta ancora a sinistra. Raggiungiamo quel rettangolo d’erba chiuso nell’angolo a nord-ovest. 
Come varchiamo lo stretto passaggio che vi conduce, resto per un momento impietrita dalla meraviglia. Migliaia e migliaia di lucciole volteggiano nell’aria, vagano nell’erba bassa e soffice, si posano scintillanti ai muri di pietra, facendoli sembrare vivi e palpitanti. 
Non ho mai visto niente del genere prima d’ora. Ormai le lucciole sono tanto rare! E’ difficile vederne più di due o tre insieme.
Mi volto sorpresa verso Raphael, e lui mi sorride. 
“Credo che sia un piccolo spettacolo organizzato in nostro onore”. 
Sento che sto per raggiungere un livello in cui più nulla mi può stupire. In un angolo della mente un residuo della mia vocina cinica mi sussurra che stavolta le caramelle dovevano essere particolarmente energiche. Non me ne frega niente.
Raphael si siede sull’erba, in mezzo a tutto quel luccicare, e  mi tira giù vicino a lui. 
Mi circonda le spalle con un braccio, mi accarezza le guance.
“Sì, sei proprio tu quella che cercavo...Non volevo crederci, ma è così...” 
Mentre mi bacia gli soffio sulle labbra: “A... chi... non volevi... credere?” 
Lui non risponde, ma non ha importanza, finchè continua a baciarmi in questo modo.
“Questo è un luogo antico. Ha molto potere... Lo senti, il potere?” mi bisbiglia in un orecchio. Potere? Io sento ben altro... Ho il cuore in gola, il fiato corto, non ho più forze, precipito...
Improvvisamente lui si alza, mi tende la mano e mi tira su in piedi accanto a lui. Mi abbraccia teneramente, poi mi guida lungo gli stretti vicoli fino ad un antico portone di legno borchiato. Lo apre ed entriamo. Stupita mi ritrovo in un piccolo cortile interno, raccolto come un minuscolo chiostro. Non sapevo che esistessero cortili nel ricetto. Avevo sentito parlare solo di cantine e piccole case a due piani… ma che importano i dettagli architettonici, ora?
Lui mi bisbiglia “Vieni…” e io lo seguo come imbambolata su per una scala antica. Davanti a noi si apre un breve corridoio, con un’altra porta in fondo. La oltrepassiamo, e mi ritrovo stupita in una stanza antica e lussuosa. Il letto a baldacchino, i cupi mobili scolpiti, gli arazzi dai colori così sgargianti da parere appena confezionati  mi fanno venire in mente il set cinematografico di un film medievale. Dolcemente lui mi attira accanto a sé sul letto rivestito di un raso rosso cupo, e ancora mi bacia, e mi bacia… 
Poi tutto accade. E  mi sento così bene... Lui mi fa sentire così bene, così bella, così speciale... C’é una specie di... ecco, di RISPETTO, nei suoi gesti, che non avevo mai provato, con nessuno.
Non mi sfiora neppure il pensiero che non abbiamo preso la minima precauzione, che in fondo non lo conosco affatto, che.... 
Gli arazzi intorno a noi sembrano vivi e luminosi. Tutto il mondo palpita di luce.
Dopo, lui mi aiuta a rialzarmi, a rimettermi in ordine, mi pettina alla meglio i capelli scarmigliati con le dita, mi bacia sulla punta del naso. Ridendo e chiacchierando sottovoce usciamo dal Ricetto, e saliamo in macchina. Stavolta guido io. Non so esattamente cosa sia la felicità, ma credo di non esserci mai andata più vicino di così.
Guido lentamente, mentre ci avviciniamo all’hotel che mi indica. Mi bacia teneramente, e restiamo d’accordo per vederci l’indomani mattina. Prima di sparire oltre la soglia, si volta e mi saluta ancora con la mano. 
Non l’ho più rivisto. Di lui non è rimasta la minima traccia. Nemmeno nei registri dell’hotel, come mi  ha sibilato l’altezzosa impiegata della reception, guardandomi con un misto di compatimento e di vago disgusto mentre mi sforzavo di non scoppiare a piangere lì sui due piedi, la mattina dopo.
Inutilmente ho cercato di ritrovare la casa dove Raphael mi aveva portata all’interno del Ricetto. Naturalmente anche quella è scomparsa . Anzi, anche quella risulta non essere mai esistita… Non ci sono case con cortili interni, nel Ricetto.

E così eccomi qui, a rifare come in un pellegrinaggio la stessa strada di quella sera. A parcheggiare nello stesso punto. Ad entrare nel Ricetto e barcollare sui tacchi alti tra i ciottoli delle rue per arrivare fino a quell’angolo là in fondo... No, niente lucciole stanotte. Nemmeno una. 
Soltanto la luna, bianca e lontana, rischiara questo angolo appartato, circondato dalle  mura.
Mi siedo sull’erba dove ci eravamo seduti vicini, prima che lui... Qualcosa di caldo e bagnato mi scende sulla faccia. Lacrime? Ma sì, posso anche sfogarmi, tanto qui non c’è nessuno che possa guardarmi con compatimento, e pensare che sono una povera scema fallita, inutile, e pure incinta...
Mi butto giù sull’erba, e lascio che il pianto scenda dal cervello e si riversi in singulti acidi e rumorosi nella mia gola. 
“Non piangere...” Una voce gentile e una carezza sui capelli mi fanno balzare di nuovo seduta. 
Chinata davanti a me c’è una ragazza. Avrà circa la mia età, ed è bella venti volte me. Anzi cento. Così bella che se fossi un ragazzo me ne innamorerei immediatamente.
E’ perfetta. I suoi capelli hanno un colore strano quanto il mio, solo che lei con quella cascata di fiammeggianti capelli rosso fuoco sembra esserci nata. Il suo parrucchiere deve essere un mito. Curiosamente, essendo notte, riesco anche a percepire benissimo il colore dei suoi occhi, un verde foglia inusuale, ma su di lei sembra anche quello così naturale, sotto le sopracciglia nette e molto arcuate. La sua pelle è pallida e perfetta, anche se pare totalmente priva di trucco. Sembra... luminosa, ecco.
La fisso imbambolata per un lungo istante, senza riuscire a far altro che asciugarmi gli occhi con il dorso della mano, e tirare su col naso. Lei si siede vicino a me e senza parlare mi porge un fazzoletto pulito. Non mi guarda mentre mi asciugo gli occhi e  mi soffio il naso, ma fissa in alto la luna piena.
Chi è? Una pazza? Un’altra “fatta” in trasferta? Un’assistente sociale che fa gli straordinari?
Stranamente non mi sento a disagio con lei, e non mi importa nemmeno che mi abbia visto in lacrime, a strisciare per terra come un verme. 
Una strana calma si impossessa di me. La presenza di questa bizzarra ragazza è così rassicurante che assurdamente avrei voglia di raccontarle tutto di me. Della mia famiglia incasinata, della mia vita senza scopo, del breve incontro con Raphael, della rabbia e del dolore per la sua sparizione, e delle conseguenze che mi porto addosso.
Ma non oso spezzare il silenzio. La notte è calma e serena, l’unico rumore è il frinire dei grilli. Seduta sull’erba, mi abbraccio le ginocchia, e guardo anch’io la luna, lasciandomi riempire da questa calma argentata.
Quando lei comincia a parlare, è soltanto un bisbiglio, flebile al punto che a fatica distinguo le prime parole.
“A volte ci si sente così soli e inutili su questa terra, e la vita pare così assurda, e senza un senso, che si vorrebbe quasi non essere mai nati, vero?”
E’ esattamente quello che penso da quando ho la facoltà di ragionare. Mi volto stupefatta verso di lei. E’ come se mi avesse letto nel pensiero. Ma lei, senza smettere di fissare la luna, continua a parlare, quasi stesse pensando tra sè e sè ad alta voce. 
“Ma non è così. Nessuno è qui per caso. Ogni vita ha un suo scopo. Anche quella dell’essere umano più ignobile. Anche quella del più piccolo animale” 
Dicendo questo, fa un lieve movimento nell’aria con la mano, e come apparse dal nulla, un gruppo di una decina di lucciole improvvisa una breve danza davanti ai nostri occhi, per poi sparire oltre le mura, rapido come era comparso. 
Mi sento come una bambina davanti ad uno spettacolo di magia, piena di stupore e di aspettativa per il prossimo numero.
“Tutto ha un senso e uno scopo. Anche se non ce ne si può rendere conto da qui. Si ha una visione troppo ristretta, e la mente degli uomini è troppo limitata per riuscire a cogliere tutta la grandezza del disegno. E’ come pretendere che una formica che cammina sul pavimento di una grande cattedrale colga lo schema architettonico e lo scopo di tutto l’edificio. Non potrà mai, così come nemmeno il più grande o intelligente degli uomini potrà mai andare più in là di tanto con lo sguardo e con la mente, per quanto si sforzi.”
Nessuno mi aveva mai parlato così, né avevo mai voluto approfondire questo tipo di argomenti, perchè anche il solo pensarci mi aveva sempre fatto paura. 
Ma ora non ho paura, e  mi bevo ogni parola. La sua voce è come una lunga carezza che mi calma e mi rassicura. Dolcemente,  mi circonda le spalle con un braccio. Come una vecchia amica, come la sorella che non ho mai avuto.
“E se anche l’esistenza di una piccola lucciola ha una funzione, se ne ha persino quella dell’essere umano più stupido e malvagio, a maggior ragione ha uno scopo, e uno scopo grande, l’esistenza di tutti coloro che pensano, amano, soffrono e cercano delle risposte. Quelli come te. 
Tu sei molto importante, anche se non te ne rendi conto. Non vedi il disegno nel suo insieme, non vedi la cattedrale. Ma tu sei una piccola formica molto importante.” conclude con un sorriso.
Chissà perchè le credo. La mia vocina cinica è totalmente ammutolita.
Finalmente oso profferire parola.
“Ma io non ho mai fatto niente di buono. Niente di importante. E non sono nemmeno una persona buona... Anni fa. mi hanno detto che seguivo la via del peccato, che quasi tutto ciò che facevo era male... e così in chiesa non ci sono nemmeno più andata ”
“Bene, Male.... Peccato...  Salvezza o Perdizione...Vedi, anche questi sono concetti molto limitati. Non tutto ciò che pare bene è bene in ogni circostanza. Non tutto ciò che a prima vista sembra malvagio lo è davvero. Te l’ho detto: la visione umana è molto limitata. A volte si giunge al bene perseguendo ciò che ad una visione superficiale può essere giudicato un male, e viceversa.
Ma ogni essere umano sa benissimo, in ogni momento, se sta agendo bene o male.

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